FINANZA &MERCATI

 
 
 
Crisi del credito: Borse, Governi e Banche centrali
 
HOME DEL DOSSIER
Cronaca / Europa e Mondo
Le mosse dei Governi
Politiche monetarie
Borse / Analisi
Petrolio e valute
Banche e depositi
Interviste
Analisi e commenti

Diga necessaria per ritrovare un po' di fiducia

di Guido Gentili

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
9 ottobre 2008

Che lo Stato italiano possa intervenire a sostegno dei risparmiatori e che su questa strada possa decidere interventi tali da incidere sul sistema bancario sta scritto nella Costituzione. L'articolo 47 afferma: «La Repubblica incoraggia la tutela del risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».
Le decisioni prese dal Governo hanno seguito, per così dire, questa bussola "primordiale", che data 1948. Sessant'anni dopo, una crisi finanziaria e bancaria travolgente sta scuotendo l'intera economia mondiale e, con essa, l'Italia. Una classe dirigente degna di questo nome non ha alternative: prudentemente, fa quadrato per fronteggiare ogni possibile emergenza.

Ciò che è accaduto ieri, senza giri di parole, va nella direzione giusta. Prima con il vertice tra Governo, Bankitalia, Confindustria, Associazione Bancaria e Mediobanca (segno inequivocabile per l'istituto di una ritrovata centralità "di sistema", come auspicato dal presidente Cesare Geronzi) e poi con il consiglio dei ministri che ha varato il decreto a sostegno delle banche e dei risparmiatori sono state gettate le basi per un futuro meno incerto di quello punteggiato in questi giorni dai mercati borsistici.
Le dichiarazioni del premier Berlusconi, del ministro Tremonti e del Governatore Draghi confermano la solidità del sistema bancario italiano. Ma, come ha spiegato Tremonti, ci si mette nelle condizioni di «impedire che una banca, una sola, fallisca». Arriva insomma la garanzia dello Stato, che potrà acquisire azioni degli istituti di credito senza diritti di voto. Si mettono così da parte armi e munizioni, pronti a colpire per difendersi.

La crisi attuale evoca spettri tremendi e viene definita sempre più spesso come «senza precedenti». In tutto e per tutto, compresa l'azione concertata delle Banche centrali, da New York a Pechino passando per Francoforte, per tagliare il costo del denaro e ridare ossigeno ai mercati. E compresi i repentini cambiamenti di rotta dei Governi, a partire da quelli statunitense e britannico, che fin qui avevano impersonato le ragioni storiche del «capitalismo di mercato».
È tornato ora, in giro per il mondo, il tempo dei maxi-salvataggi pubblici e delle nazionalizzazioni. Piaccia o non piaccia, questa è la realtà frutto della finanziarizzazione planetaria che, carta dopo carta, si è arrotolata su se stessa finendo per autosoffocarsi.
Il mercato, da solo, non ce la fa a raddrizzare il timone nel bel mezzo di una tempesta "perfetta": lo si poteva supporre, ma nessuno poteva immaginare, al di là dei continui rovesci borsistici, uno sgretolamento così rapido degli stessi contrafforti ideali che sino a ieri, almeno nel mondo a trazione anglosassone, avevano prevalso.

Ha cominciato l'America, e velocemente questa sorta di "new deal" è sbarcato nell'Europa protetta sì dallo scudo dell'euro, ma sul piano politico ancora incompiuta e impreparata a gestire, collegialmente, una crisi di questa portata. Si è fatto (e si farà) tutto quello che si è potuto nelle condizioni date, il che non è poco: ma sono sotto gli occhi tutti gli "strappi" Paese per Paese, a cominciare da quello unilaterale dell'Irlanda sull'assicurazione dei depositi bancari, che ha fatto scattare una rincorsa competitiva a livello dei singoli Stati nazionali. Un Fondo comune di garanzia avrebbe testimoniato il segno di una ripresa ambiziosa del processo di integrazione in una stagione di crisi violenta. Ma il piano non è passato.
L'interesse nazionale è ricomparso sulla scena europea come un ciclone inarrestabile e inevitabile. La stessa acquisita supremazia del diritto comunitario su quello nazionale (pensiamo alla tutela della concorrenza) appare come sospesa. Si naviga a vista Paese per Paese, caso per caso, per difendere i risparmiatori e le aziende di credito, nella consapevolezza, questa sì generale, che se crolla il muro delle banche vengono giù anche le imprese e con esse l'economia reale, in uno scenario da brividi. La "flessibilità" del Patto di stabilità e di crescita vale più della contesa sugli "zero virgola" dei parametri di Maastricht. Questa è la realtà.

I dibattiti su "Stato e mercato", al pari di quelli su "destra e sinistra" e la fine del capitalismo, sono oggi sterili. Nell'emergenza prevale il "da farsi", e il pubblico può se del caso arrivare là dove il privato non può o non riesce a spingersi per rafforzare i circuiti della fiducia e rimettere in moto un sistema (è il caso dell'Italia) fondato sulle piccole e medie aziende, per le quali non possono essere chiusi i rubinetti del credito. Ciò detto, anche in tempi di guerra o di pre-guerra si può confidare in un dopoguerra dove la libera economia di mercato, adeguatamente corretta nelle sue evidenti storture, e terminate le necessarie pulizie, possa tornare a pieno titolo protagonista. Si può, e anzi si deve.

guido.gentili@ilsole24ore.com

RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-